sabato 10 dicembre 2022

La macchia umana - Philip Roth

Primo romanzo che leggo di questo autore. Posso dire con certezza che mi sia piaciuto, ma, sì c'è un ma, non ne sono rimasta folgorata come avrei creduto. È sicuramente un gran bel romanzo, che fa quello che dovrebbero fare tutti i gran bei romanzi, ovvero iniziarci alla verità delle cose, alla verità su noi stessi. Leggere questo romanzo potrebbe configurarsi innanzitutto come un'operazione di autoconsapevolezza.  L'uomo che prende atto del suo essere umano e di tutte le cose che possono, nel bene e nel male, derivare da questo semplice principio fondamentale. Roth ci presenta un novero di esperienze e figure umane, tutte accartocciate e contrite nelle loro contraddizioni e per le quali, noi che leggiamo, possiamo provare ambivalenti sensi di disgusto e pena, un po' riconoscendoci in esse, un po' prendendone le distanze ma senza poter sfuggire in fondo al messaggio provocatorio di fondo, e cioè  che vi sia solo un ineludibile destino per noi creature umane, col nostro animo criptico e fazioso, che ci condanna alla reiterazione dei nostri istinti più biechi, quasi come se fosse impossibile "smacchiarsi" dal peccato, dalla colpa, in qualsiasi forma essa ci venga somministrata alla nascita. 
"...noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia. lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c'è altro mezzo per essere qui. Nulla a che fare con la disobbedienza. Nulla a che fare con la grazia o la salvezza o la redenzione. È in ognuno di noi. Insita. Inerente. Qualificante. La macchia che esiste prima del suo segno. Che esiste senza il segno. La macchia così intrinseca che non richiede un segno. La macchia che precede la disobbedienza, che comprende la disobbedienza e frustra ogni spiegazione e ogni comprensione. Ecco perché ogni purificazione è uno scherzo. Uno scherzo crudele, se è per questo. La fantasia della purezza è terrificante. È folle. Cos'è questa brama di purificazione, se non l'aggiunta di nuove impurità? Della macchia Faunia diceva soltanto che era inevitabile. Questo, ovviamente, era il suo punto di vista: siamo creature irrimediabilmente macchiate."
La vicenda raccontata è quasi surreale, a tratti paradossale, tanto che ci si ritrova a chiedersi se davvero sia possibile quello che si sta leggendo, se l'autore non ci stia quasi prendendo in giro. Sembra di leggere una versione americana de Il processo di Kafka. L'ambiguità del reale e delle interpretazioni che ne possono essere date, soprattutto se si considera la complessità della mente umana, riecheggiano fortemente i temi kafkiani e ritrovano in questo romanzo, una riscrittura più moderna, americanizzata e disambiguata dai significati enigmatici. 
Coleman Silk, il protagonista de La macchia umana, viene infatti, in maniera del tutto improvvisa, accusato di razzismo per aver poco furbescamente usato il termine spooks (che può voler dire fantasmi ma è anche usato in termini dispregiativi verso i neri) per riferirsi a due studenti che avevano mancato di presentarsi ad alcune sue lezioni, senza sapere che i due studenti in questione fossero neri. Difficile credere che un insegnante di lettere di tal calibro, colto e intelligente si sia potuto abbandonare a una tale disattenzione, da cui il senso di assurdità che permea l'intero romanzo.
Da questo momento ha inizio l'inesorabile e rocambolesco declino di questo personaggio e del prestigio tanto faticosamente guadagnato. 
Questo romanzo è la destrutturazione di un mito, non soltanto quello americano ma anche quello tutto personale del protagonista, è lo scostamento del velo che cela i segreti e le meschinità che si sono voluti a tutti i costi tenere nascosti. Una finzione che ci viene svelata in tutta la sua interezza soltanto alla fine del libro e che non manca di generare un enorme stupore, poiché essenzialmente assurda. La macchia umana è anche il disvelamento di un segreto. Ciò che ci tiene incollati alle pagine è l’intuizione che ci sia qualcos’altro che non ci è stato detto del protagonista e che vogliamo a tutti costi sapere. 
Scopriamo infatti che Coleman Silk è figlio di neri, quindi di origini nere, ma con la pelle chiara. Questo dettaglio  gli permetterà di smarcarsi dalla sua famiglia e da un destino già scritto. Egli infatti si distacca ben presto dai suoi parenti, li ripudia egoisticamente e senza troppi sensi di colpa, pur di farsi strada e guadagnare un posto d’onore in una società ancora fortemente razzista. E Coleman Silk non soltanto conquista una posizione ragguardevole ma imperversa dall’alto del potere ottenuto, dettando legge e comandando tutti a bacchetta. Fino alla fatale disattenzione.  
Le cui conseguenze sono devastanti per il protagonista. La moglie infatti muore poco dopo, i figli si distaccano ancora di più da un padre non amato e il protagonista, completamente in balia degli eventi, peggiora ulteriormente la sua situazione, iniziando una storia con Faunia, una donna che per mantenersi fa le pulizie nella stessa Università dalla quale ha appena ricevuto il ben servito e che non farà altro che gettare un'ombra ancora più nebulosa sulla sua figura. Faunia infatti è una donna non istruita, la cui complementarietà con Coleman Sink trova ragione d'essere solo nella spirale di assurdità in cui sono precipitati gli eventi. I due sono compatibili non solo perché si attraggono fisicamente, ma anche perché le loro anime deflagrate si complementano vicendevolmente. Ormai allo stato brado, ovvero svincolati dal dovere di rimanere incorniciati in qualche convenzione sociale, i due trovano conforto l'uno nell'altro, senza temere di poter inquinare il proprio status. 
Ciò che emerge alla fine di tutto è una verità piuttosto amara: la società, il punto più alto della collettività umana, non è che un insieme di simboli precari e vuoti, di stereotipie discutibili e schemi facilmente corruttibili, entro i quali si muove un individuo sempre più solo e sperduto. L’uomo che ha il coraggio di credere nel mito sociale, che fa di tutto per essere apprezzato, per guadagnare un qualsivoglia riconoscimento, è condannato a perdersi. La stessa macchina che lo forgia e lo aiuta a emergere, è la stessa che lo masticherà e risputerà maciullato e ormai inutile sulla superficie della Terra. Coleman, Faunia e Les Farley sono coloro che incarnano meglio la defettibilità di un sistema pieno di contraddizioni.  Coleman Sink è l’uomo potente infine detronizzato, Faunia la donna perduta e sfruttata da uomini violenti ed egoisti, Les Farley è un soldato con evidenti segni post-traumatici assurto impropriamente a eroe. Tutti sono perfettamente cristallizzati nelle loro debolezze, cellule ormai irrimediabilmente danneggiate e pronte a essere fagocitate da un sistema senza scrupoli. 

martedì 22 novembre 2022

La luna e i falò - Cesare Pavese












Una lunga poesia, una congiunzione magica e ispirata tra stile e contenuto, un memoriale di cose vecchie e nuove, di cose che non smettono di ritornare e di quelle che non smettono di andare via. La luna e i falò è l'antica favola dell'uomo che torna a casa e la trova uguale eppure irrimediabilmente diversa, una favola che tutti ci siamo sentiti raccontare almeno una volta, e in cui qualcuno potrà anche riconoscersi. Si può capire come questa favola, come questa liturgia del ritorno, possa essere quindi fortemente permeata di nostalgia e di malinconia, nonostante il racconto del protagonista rimanga sempre molto lucido e composto. Intuiamo che lui come tanti se n'è dovuto andare, ma che a un certo punto è dovuto anche tornare. Comincia un viaggio che non è solo quello mesto e nostalgico dell'andare tra i ricordi, ma anche quello imprevisto e novizio dell'andare tra le cose nuove, o meglio tra le cose che si sono sempre conosciute ma che non si sono mai viste in una veste nuova, quella in cui appaiono ora agli occhi del protagonista. 

Quello di Anguilla è un viaggio che ha la connotazione di un viaggio rituale e magico, una sorta di re iniziazione alle cose, narrata in una lingua densamente simbolica, ma è anche, allo stesso tempo, un viaggio desolante, in qualche modo triste, un cammino che scardina e reincardina l’uomo continuamente, da ciò che è sempre stato a ciò che vorrebbe essere, da ciò che non è mai stato a ciò che non sarà mai. Si comprende la portata di questo processo di revisionamento e rinnovamento, tutta condensata nell’immagine del falò, il fuoco che tutto distrugge ma che allo stesso tempo rende la terra più fertile, feconda, sottendendo all’ineludibilità e al potere del cambiamento. Tutto muta eppure la matrice delle cose permane apparentemente immutata. La Terra non muta, così come le sue stagioni, rimane immota nel suo essere foriera di nuova vita. 


Il ritorno del protagonista non segna del resto la chiusura di un cerchio, non è una risoluzione ma l'ulteriore definizione di una crisi che ha luogo da tempo immemorabile nel cuore dell'uomo, una crisi alla quale non sembra esservi una soluzione immediata. È più saggio l’uomo che se ne va, o quello che resta? È più eroico l’uomo che persegue l’individualistico sogno della realizzazione personale o colui che rimane a combattere per difendere i valori della collettività a cui sente di appartenere? Anguilla e la sua guida si contrappongono in un gioco senza vincitori. Sono entrambi sullo stesso piano, Anguilla ha perso perché se n’è andato e Nuto perché è rimasto. Anguilla vince per il suo pragmatismo, per il suo approccio utilitaristico della vita, e Nuto per la meraviglia del suo sguardo, per l’incanto con cui non rinunciamo di guardare alle cose del mondo. Per Anguilla è impensabile ogni simbolismo, se non quello del raccontare, per Nuto è impossibile invece, non credere nei simboli, perché sono la forma più vicina e tangibile di qualcosa che è percepito come disperatamente irraggiungibile . Egli ha ancora fede nella luna e i falò, nel mito, nel magico, e non perché sia stupido ma perché sarebbe impensabile altrimenti. Conosce il potere del fuoco e crede in quello della luna, che quasi beffarda, galleggia sui destini degli uomini e li condiziona inevitabilmente. Non è un caso che da sempre le vicende umane e terrestri siano legate alle fasi lunari. Siamo liberi di crederci o meno ma quello contro cui siamo impotenti è l’immanenza di queste immagini, la tenacia con cui persistono nella cultura popolare e ne alimentano il simbolismo e di conseguenza anche la poesia. Immagini che ci vengono restituite da Pavese in una lingua commovente, incantevole, un linguaggio che da un lato si congiunge con la durezza della terra, che si scarnifica come si spoglia la terra d’inverno e dall’altro si eleva e si tinge di un profondo lirismo, di immagini dolci e indimenticabili.