sabato 29 giugno 2024

il Maestro e Margherita - Michail Bulgakov

In un caldo pomeriggio primaverile, agli stagni Patraršie a Mosca, il poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv, detto Bezdominyj e il direttore di un giornale nonchè presidente di una delle associazioni letterarie più importanti di Mosca, Michail Aleksandrovič Berlioz discutono dell'esistenza di Gesù Cristo. Il secondo deve scrivere, per conto del primo, un poema antireligioso che dimostri che Gesù non è mai esistito. Improvvisamente compare davanti a loro il diavolo, nei panni di un individuo ambiguo e misterioso che dice di essere uno straniero e che intromettendosi nella conversazione asserisce che Gesù è esistito eccome, che Dio esiste e che sussistono ben sette prove della sua esistenza. I due scettici non gli credono e iniziano a pensare di avere a che fare con un pazzo. L'ambiguo straniero incalza e a riprova della sua tesi, inizia a descrivere nefasti presagi che attendono il direttore del giornale, il quale preso dal panico, tenta una fuga improvvisa, correndo verso i binari della stazione e non accorgendosi che è in arrivo un tram, ne viene travolto, finendo con la testa mozzata, esattamente come predetto poco prima dal diavolo. Il poeta Bezdomnyj che ha assistito a tutta la scena, sconvolto, prova a inseguire il losco individuo, senza riuscirci. Così si precipita al circolo letterario per avvisare gli altri letterati dell'associazione letteraria MASSOLIT e per convincerli che il responsabile altri non è che il diavolo in persona. Ovviamente nessuno gli crede, anzi pensano che sia impazzito e lo fanno internare in un ospedale psichiatrico. 

Nel frattempo il diavolo si aggira per Mosca, insieme alla sua cricca composta da Behemoth  (un gatto parlante grassoccio e dai modi buffoneschi), Azazello,  (un tizio losco dai capelli rossi, un occhio con un leucoma e una zanna che spunta asimmetricamente da un angolo della bocca)Koro’evev,  uno strano individuo alto e magro, con gli occhialetti e una camicia a quadretti e infine una strega di nome Hella, semina disordine e caos. Il piano è quello di indire una serie di spettacoli allo scopo di irretire i moscoviti, dimostrare la loro dissolutezza e spazzare via anche l'ultima briciola di moralità. 

Da questo primo rocambolesco quadro, si prefigura quel che è un romanzo molto complicato, grottescamente comico, più di tutto surreale, ma che oltre il velo del surrealismo espone un’attenta e aspra critica della società moscovita sotto il regime comunista, una invettiva impietosa che sventra il corpo sociale e lo analizza minuziosamente in tutti suoi organi, culturale, politico, religioso.  È una critica all’ateismo imposto dal regime e corroborato da un intellettualismo esasperato; è una critica all’anticristianesimo, alla mancanza di fede e al rifiuto dell’esistenza di Dio, una critica a una società ormai deragliata, sempre più corrotta e corruttibile, sempre più lontana dalla verità e per questo più suscettibile alla fascinazione del male, che invece è mistificazione della realtà, mascheramento, illusionismo. 

Si tratta di un caso di ipnosi collettiva, vien detto spesso nel romanzo, per spiegare il soggiogamento dei moscoviti agli scherzi del mago Woland, come si fa chiamare il diavolo. Un incantesimo che può avvenire perché vi è un terreno fertilissimo, gli individui sono privi di moralità, privi di valori che consentano loro di accorgersi del gigantesco raggiro di cui stanno per essere vittime. Essi sono ciechi di fronte alla verità, perché l’unica logica che comprendono è quella del denaro e del potere. Emblematico che durante il primo spettacolo del diavolo al teatro Varietà, in uno stato di esaltazione tutti gli spettatori si affannino ad afferrare banconote volanti, creme di bellezza e vestiti lussuosi. Ma non è che la prima di tante illusioni: le banconote infatti si trasformano presto in etichette di bottiglie, i vestiti scompaiono lasciando nudi chi li aveva indossati. Ecco che tutto ciò che apparentemente luccica e ha valore, non tarda a rivelare la propria falsità, nonché la propria inutilità. 

Le uniche forze che possono trascendere il male, sono la Fede e l’amore. Non solo trascenderlo ma anche scalfirlo e farlo vacillare. Sono proprio questi difatti i grandi temi del romanzo, la fede, l’amore, e la verità che da essi solo deriva. 
Le bizzarre vicende messe in atto in questo teatro così infernalmente orchestrato, si intrecciano con la storia d’amore del maestro e Margherita. Sì perché questo romanzo è anche un grande romanzo d’amore. Questi due personaggi sembrano non essere interessati alle cose materiali. Ciò che desiderano davvero è infatti immateriale e intangibile. È il loro amore a renderli immuni alla mistificazione della realtà, a consentirgli di distaccarsi da una società che non sono più capaci di comprendere e in cui non sono più in grado di identificarsi, di innalzarsi al di sopra della città e volare in una dimensione quasi onirica. Come in un quadro di Chagall, i due amanti alla fine del libro, possono finalmente librarsi in volo, lontano da chi non li ha compresi né voluti. È un amore bello perché è anche uno di quegli amori tristi. Il maestro è infatti impazzito dopo che il suo romanzo su Ponzio Pilato è stato aspramente criticato dai più importanti critici letterari di Mosca. Il dolore di non esser stato compreso lo porta presto a perdere cognizione di se stesso e infine a lasciare Margherita per autoconsegnarsi a un istituto psichiatrico. Nonostante lui dia prova di star perdendo il senno, lei tenta di tutto per consolarlo, per recuperarlo dal suo dolore, invano. Sarà proprio il diavolo paradossalmente a farli riunire e a ricostituire come intatto il romanzo su Ponzio Pilato che il Maestro aveva bruciato in un impeto di rabbia, chiedendogli di finirlo. L'intento del diavolo, scopriamo, è quello di ricucire le perdute speranze del Maestro circa il proprio romanzo, in modo che egli lo porti a compimento e possa scrivere un'ultima frase, un ultimo atto di liberazione e liberare così Ponzio Pilato dalla colpa che lo affligge eternamente, quella di non aver salvato Gesù dalla sua condanna, pur avendone compreso la natura divina. Il Maestro, insieme a Margherita, viene così condotto da Woland al cospetto di una scranna, in una remota cima petrosa, dove immobile e in preda alla sua colpa inespiabile, siede Ponzio Pilato, il quale è tormentato dalla visione di una strada illuminata dalla luna, dove sogna di incamminarsi e ascoltare le ultime parole di Hanozri (Gesù), quelle che era in procinto di pronunciare prima della sua morte e che non ha mai, però, proferito. Il Maestro così grida al quinto procuratore della Giudea che finalmente è libero, così come liberi di incamminarsi verso il loro nuovo destino lo sono anche il Maestro e Margherita, anch'essi ormai liberi dai loro tormenti. 

Il diavolo si configura qui, in modo del tutto paradossale, come un operatore del bene. Difende l'esistenza di Cristo, smaschera la malizia dei moscoviti, recupera manoscritti distrutti, ricongiunge amanti separati, libera gli animi dai tormenti, concede, su richiesta di Jeshua, il perdono a Pilato. Questi non appartiene infatti al diavolo, ma a Gesù. Come anima pentita e tormentata dal suo peccato, anelante al perdono, non è di nessuna utilità alle diavolerie di Woland. Il diavolo di Bulgakov sguazza nella scelleratezza degli uomini ma non può nulla contro la superiorità del bene e lo ammette placidamente, nella consapevolezza che il destino del mondo è un destino che anela al bene.

- Si ripete la storia di Frida? - disse Woland - Ma, Margherita, qui non devi inquietarti. Tutto sarà giusto, su questo è costruito il mondo. 


venerdì 28 giugno 2024

Chiedi alla polvere - John Fante


Porto male la mia età. La mia gioventù, così poco sfruttata, è un vestito che non mi è mai calzato a pennello. Il più delle volte però non me ne cruccio. In un certo senso mi compiaccio della mia vetusta personalità e mi lascio nutrire da un certo soffio malinconico quando, invece di uscire, scelgo di rimanere rintanata in qualche luogo accogliente a leggere un libro, mentre il resto del mondo è fuori a scalpitare, a sguazzare felice e contento in un vocio continuo che parla di idee, di esperienze, di avventure.
Ma leggere è sempre stato il mio modo di conoscere e imparare, e posso dire di aver appreso dai libri più che da ogni altra cosa. Ancora adesso, la mia giornata ideale comincerebbe in una libreria, tra migliaia di tomi che attendono solo di essere letti e scoperti, e finirebbe su un divano, a leggere un volume di migliaia di pagine, con una tazza di tè fumante in mano.
In uno dei miei viaggi in libreria, ho scoperto John Fante e il suo Chiedi alla polvere. Quella copertina in bianco e nero, con il nome di Fante vergato in rosse lettere cubitali, mi attirava come nient'altro. In un certo senso presentivo un'intesa perfetta, che effettivamente c'è stata. Forse Arturo Bandini è il protagonista con cui mi sono identificata di più finora, complice la sua, a tratti odiosa, a tratti esilarante, umanità.
Mai avrei pensato che ad animare un piccolo romanzo di duecento pagine, sarebbe stato un protagonista del tutto fuori dalle righe, così dissimile dagli eroi letterari a cui siamo abituati e che alla lunga risultano deludenti e poco realistici. La verità, che solo i grandi capolavori custodiscono, è che tra gli uomini non vi sono eroi e Arturo Bandini  ne è la prova eclatante. Alieno tra le tante astratte creazioni letterarie,  lontanissimo da quasiasi stereotipo letterario, chiaro alter ego di uno scrittore che al sogno della letteratura dedicò tutta la sua vita, fino all'ultimo respiro. 
L'esistenza di Arturo Bandini non si discosta poi tanto da quella di un ordinario essere umano, impegnato a districarsi in un gioco di alti e bassi e a fare i conti con una vita intassellata di pretenziose ambizioni e cocenti delusioni. Come tanti, prima e dopo di lui, sogna di diventare uno scrittore, e a questo sogno così prezioso sacrifica la necessità di trovare un impiego stabile, come farebbe un uomo coscienzioso. Al contrario, si trasferisce a Los Angeles, che diventa a tutti gli effetti una co-protagonista, tanto adatta a rimpinguare lo spirito creativo del personaggio quanto a scarnificarne il portafogli e insabbiarne le speranze nella polvere delle sue strade. Arturo è quasi sempre al verde, costretto a dipendere ancora dalla madre, quando non vi sono alternative. Eppure quel poco denaro di cui dispone, non resiste molto nelle sue tasche. Si capisce quando il protagonista ne spende anche l'ultimo cent per un caffè disgustoso nel bar dove incontra Camilla. Le tribolazioni di questi due personaggi, infelici in modo diverso, finiscono per intrecciarsi e costituire gran parte del romanzo, l'uno troppo impegnato ad appianare le infinite contratture di un'esistenza complicata, per fare spazio all'amore, e l'altra un'anima adombrata dalla crudeltà di un amore non corrisposto. Inebetito da qualcosa a cui lui stesso non può dare un nome, Arturo si lascia sfuggire le numerose occasioni di mostrare a Camilla la sua virilità, fino a quando ebbro di alcol e di amore, riesce finalmente nell'intento. Eppure neanche questo basta e persino l'amore si rivela un'illusione destinata a polverizzarsi col resto.
Chiedi alla polvere è un romanzo senza fine, in fondo, o piuttosto un cerchio perfetto, in cui la fine sembra ricongiungersi quasi perfettamente all'inizio, tra pagine venate alternativamente di sublime lirismo e di ironica amarezza. Impossibile non innamorsene fin dalle prime righe:

“Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d'albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell'albergo. O pagavo, o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.”