Era da tempo che non rimanevo così colpita da un libro. Il termine giusto è ipnotizzata. Dopo i primi capitoli, che mi avevano in parte scoraggiata dal proseguire la lettura, ecco la magia vera e propria, condensata in poche, ma indimenticabili pagine di assoluto splendore. Di capolavori ne esistono tanti, di grandi scrittori anche, ma forse sono davvero pochi quelli con la stessa capacità di Màrai di parlare dell'uomo, arrivando così in fondo al punto da imbastire, nel contesto di un breve romanzo, una vera e propria indagine psicologica. E se all'inizio, quando ho cominciato la lettura ancora non me ne rendevo perfettamente conto, alla fine ho compreso che quella che stavo leggendo, era letteratura nella sua forma più sublime, quella che al puro intento narrativo somma quello riflessivo e si pone come audace traslitterazione delle contraddizioni dell'animo umano, illuminandone gli angoli più nascosti, disotterrando istinti repressi e oscure controversie. Quello che dovrebbe essere un dialogo catartico tra due amici, si carica in realtà di molteplici significati, apparendo ora come lucida ricostruzione di un passato ormai irrecuperabile, ora come attesissima vendetta che riconosce il suo fallimento ancora prima di compiersi, ora come confessione di un animo indebolito e fiaccato dalla vecchiaia, che cerca invano un risarcimento alla sua stessa vanità. Ne risulta complessivamente un ritratto disarmante e lucido che rende suo malgrado più trasparente il mare torbido in cui versa il genere umano. Impossibile non riconoscersi in qualche tratto del monologo di Henrik, snocciolato con rigorosa sistematicità di fronte all'impassibile e muto Konrad. Sarebbe come non riconoscersi umani, o stentare a farlo per pudicizia, vinti solo dall'ineluttabilità che assume questo processo di riconoscimento quando si specchia nelle parole di un grande scrittore con l'abilità e la padronanza di linguaggio atti a sobbarcarsi tale compito. Impossibile non rimanerne incantati, non giungere alla fine con l'impressione di aver scoperto qualcosa di noi stessi, che prima avevamo solo sfiorato o arditamente sospettato. Come dice Henrik "l'uomo scopre il mondo un po' alla volta e poi muore." Marài mette due uomini diversi a confronto, prima legandoli strettamente col vincolo dell'amicizia, poi conducendoli verso un inevitabile e drammatico distacco, che non assume mai i toni di un diverbio vero e proprio o di uno scontro fisico, ma ne irrigidisce i cuori lentamente, scorporandoli definitivamente da quel sodalizio a cui giovani e ingenui, avevano consacrato se stessi.
“Esiste una cosa peggiore della morte e di qualsiasi sofferenza, la perdita della stima di sè. Quando si viene colpiti da una o più persone nella stima di sè, che costituisce la nostra dignità di uomini, la ferita è talmente profonda che neanche la morte può porre fine a questo tormento. È una questione di vanità, mi dirai. Di vanità, sì...e tuttavia la stima di sè è il contenuto più profondo della vita umana. Ecco perchè quelli che temono di perderla accettano qualsiasi soluzione, anche la più vigliacca - guardati intorno e vedrai che la vita è piena di mezze soluzioni come queste: l'uno si staccherà dall'essere che ama, l'altro rimarrà sul posto e si chiuderà nel silenzio, nella perenne attesa di una risposta...”