Titolo : Il grande Gatsby
Autore : Francis Scott Fitzgerald
Pagine: 180
Prezzo: 15, 90
Edizione: Mattioli
"Nelle sere d'estate giungeva musica dalla casa del mio vicino. Nei suoi giardini azzurri uomini e ragazze andavano e venivano come falene tra i sussurri e lo champagne e le stelle."
Sinossi: Nell'estate del 1922 Nick Carraway si trasferisce a West Egg ( nome fittizio per indicare una città nella penisola di Long Island) dove fa conoscenza con Jay Gatsby un ricco e misterioso signore che vive nella colossale dimora accanto alla sua e che presto lo introduce nella sua esistenza sfarzosa e frenetica che sembra srotolarsi tra i numerosi quanto vani tentativi di ri/conquistare l'amore di Daisy Buchanan.
Incipit: Quando ero più giovane e più vulnerabile,mio padre mi diede un consiglio a cui da allora non ho più smesso di pensare. "Ogni volta che ti vien voglia di criticare qualcuno" mi disse, "ricordati che non tutte le persone in questo mondo hanno avuto le possibilità che hai avuto tu."
Ricordo quando tutti parlavano del grande Gatsby. Soltanto un anno fa, dopo l'uscita del film di Baz Luhrmann, il grande Gatsby era ovunque. Ricordo anche il mio rifiuto categorico di andarlo a vedere, non prima di aver letto il libro almeno. Da qui la frenesia di averlo, leggerlo, conoscere quel finale che sembrava aver tradito le aspettative sognanti di tutti. La scelta su quale edizione comprare è stata ponderatissima e di edizioni ce ne sono veramente tante. Alla fine ho scelto quella di Mattioli, nella collana Originals, a cui sono super-affezionata, con la copertina che è un quadro commissionato dall'editore Scribner a Francis Cugat: due occhioni tristi che dicono già tanto sulla storia.
Non vedevo l'ora di leggerlo. E poi l'ho letto, d'un soffio, nello spazio di una notte, come quelle che si consumano nelle feste organizzate da Gatsby, che pure non ne è mai coinvolto. Anzi si aggira solitario in casa e a volte scompare, immerso com'è in quella che è la sua condizione perpetua, una solitudine esistenziale fatta dei richiami di un fantomatico amore, l'unica cosa che davvero lo anima, compone le sue parole, guida i suoi gesti, comanda ogni attimo della sua vita. Non c'è niente che stimoli il suo interesse più di Daisy, del suo amore per Daisy, già conosciuta e amata anni prima. È un gioco tra presente e passato, ricostruire negli attimi che si vivono quello che è stato, che si è vissuto, e si ricorda come luminoso e splendido ma che luminoso e splendido non è. L'amore è distruttivo, certe volte, o sempre, quando è più forte perfino del proprio istinto di conservazione.
E Daisy? Non si capisce mai, almeno non l'ho capito io, cosa provi veramente, cosa ami, cosa odi. Sembra prendere la vita degli altri come un gioco in cui intromettersi e alterare ogni regola. Perché ogni gioco che si rispetti, ha delle regole, e lei le infrange tutte, con il suo fare talvolta leggiadro e sognante, talvolta isterico e incontrollato che finisce per essere tanto ammaliante quanto corruttivo.
Daisy:
"Mi piace vederti qui al mio tavolo, Nick. Mi ricordi una... Una rosa, una pura e una perfetta rosa. Non è vero?" Si voltò verso la signorina Baker per avere conferma. "Una rosa perfetta, non credi?"
Niente è perfetto. Perfette sono soltanto le circostanze che si incastrano nei contorni di questa storia, e la rendono reale, triste, sconvolgente. Non si può che assistere impotenti, desiderando di non aver voltato pagina e non averla letta la fine, poche pagine che disegnano un destino, e ti lasciano, forse troppo presto, a rimuginare, rimescolare ogni dettaglio.
Tutti gli altri personaggi restano un po' sullo sfondo. Pur essendo essenziali, scompaiono come scompare il chiarore delle stelle alla luce del sole.
"E mentre sedevo là, meditando su quel vecchio mondo sconosciuto, pensai alla meraviglia di Gatsby quando per la prima volta aveva scorto la luce verde all'estremità del molo di Daisy. Aveva fatto tanta strada per arrivare a quel prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non potergli più sfuggire. Non sapeva che se l'era già lasciato alle spalle, da qualche parte, nella vasta oscurità al di là della città, dove i campi scuri della repubblica si stendevano nella notte."
Ho tentato più volte di leggerlo, ma non mi piacciono le atmosfere... Magari prima o poi mi metterò maggiormente d'impegno!
RispondiEliminaMi piace la pulizia grafica del tuo blog :)
Ciao Sæglopur, sì infatti dovresti concedergli un'altra possibilità e se poi vedi che proprio non funziona, abbandonarlo al suo destino di libro tanto amato da alcuni e tanto "odiato" da altri.
EliminaGrazie per il tuo commento. Mi fa molto piacere che ti piaccia l'interfaccia del blog :)