Ragione e Sentimento di Jane Austen, fratello maggiore del più famoso Orgoglio e Pregiudizio, mi ha deluso tantissimo. Ma sarà anche perché lo stile di Austen mi è sembrato in questo libro ancora più noioso e ostico che in Orgoglio e Pregiudizio.
Ammetto di averlo comprato essenzialmente per la copertina (l'edizione Bur italiana con le due gerbere arancioni - quella qui accanto è un'edizione inglese - mi ha completamente rapita).
E così l'ho comprato con una certa dose di entusiasmo, lo stesso che si è miserevolmente spento durante la lettura. Non mi è piaciuto proprio niente di questo romanzo. Noioso come l'inverno, noiosi i personaggi, la storia, il finale. Il mio cuore non ha fatto neanche un piccolo salterello dall'emozione ma si è qualche volta stretto di compassione e di pena per le due povere protagoniste. Due sorelle sfigate, ma veramente sfigate.
Le due signorine in questione sono Marianne, fatta di cuore e passione, ed Elinor, rigida come il legno e la ragione. Le due parole del titolo, ragione e sentimento, sono appunto Elinor e Marianne così vicine eppure opposte come una faccia sdoppiata dal riflesso di uno specchio.
Questa divergenza caratteriale le porterà spesso a lamentarsi l'una dell'altra senza che però il comportamento di una si riveli migliore di quello dell'altra. Né il sentimento né la ragione vincono quando si tratta di amore e di vita, di sofferenza e di perdita. Sia Marianne che Elinor sono destinate a subire sconfitte importanti nel corso della storia perché il loro comportamento pende sempre troppo da una parte o dall'altra col risultato di non approdare a nessuna conclusione giusta ed equilibrata.
L'incapacità di contenere il proprio esuberante spirito porterà Marianne a non rendersi conto di quanto sia sbagliata la persona di cui si sta innamorando mentre l'impossibilità a lasciarsi andare di Elinor le impedirà di fare qualsiasi passo verso l'oggetto del suo amore, lasciando che ogni tentativo venga deviato da diverse circostanze.
I piccolissimi cambi di direzione della storia che dovrebbero conferirle un po' di verve sono prevedibili e privi di qualsiasi effetto narrativo, l'eccessiva tendenza all'analisi della Austen rende ogni pagina un carico narrativo difficilissimo da sopportare e la ridondanza di episodi di vita quotidiana è la bacchettata finale a una storia così insopportabilmente settecentesca. Quando ho girato l'ultima pagina ero esasperata.
1984. Lettura difficile anche questa, ma per altri motivi. Scorrevole, ma inquietante, perché reale.
Era una luminosa e fredda giornata d'aprile, e gli orologi battevano tredici colpi. Winston Smith, tentando di evitare le terribili raffiche di vento col mento affondato nel petto, scivolò in fretta dietro le porte di vetro degli Appartamenti Vittoria: non così in fretta, tuttavia, da impedire che una folata di polvere sabbiosa entrasse con lui.
Da questo incipit così fatalmente attraente è partita la mia corsa verso la fine già largamente anticipata dalla trama e dalla follia della storia. Qualcosa sembrava dirmi che non ci sarebbe stata nessuna fine da " e vissero felici e contenti " perché non ci sono che finali folli per storie folli. Questa poi è solo la parvenza di un romanzo, almeno per me, sembra più come quelle opere fuori dal tempo e dallo spazio, troppo aldilà di ogni singola condizione umana per essere un semplice romanzo. È più un'opera destinata a durare per sempre, una specie di manifesto della degenerazione umana in funzione di un'organizzazione sociale, sempre più sistematica e sempre meno individualistica, che col passare del tempo non può che portare all'annullamento di ogni impulso naturale. L'individuo è solo una pedina in un gioco con un solo giocatore, una delle tante cifre di un numero enorme. Potrebbe non esistere per quanto è inutile ma deve esistere perché è parte del gioco, un gioco in cui il ruolo massimo a cui l'individuo può aspirare è quello di rappresentare un problema, un fastidioso inconveniente da eliminare. E quanto può farci male tutto questo non c'è bisogno neanche di dirlo, alla fine non può restare niente di umano e come potrebbe se risulta sempre più difficile fidarsi dei propri pensieri e sempre più facile credere al sistema.
LA GUERRA È PACE
LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ
L'IGNORANZA È FORZA
Parola dopo parola ci sembra di essere Winston Smith, di vivere quello che lui vive, o forse di rivivere un sogno, come se quello che leggiamo l'avessimo già visto da qualche parte, perché non è altro che lo spettro della nostra esistenza. Winston è il nostro alter ego in versione futuristica, e non potremmo mai condannarlo per la sua folle scelta alla fine del libro, il rifiuto della sua mente a compiere un ultimo atto di resistenza. E lo capiamo, lo capiamo benissimo.
1984 è da leggere e poi rileggere e ririleggere. Superconsigliatissimo.
Nessun commento:
Posta un commento