giovedì 4 dicembre 2014

La società letteraria di Sella di Lepre - Pasi Ilmari Jääskeläinen


Se avete intenzione di leggere questo libro, se l'avete messo nella wishlist, se l'avete già comprato e vi accingete a leggerlo, allora prendete tutte le vostre aspettative a proposito, e mettetele da parte perché nulla di quello che vi aspettate da questo libro si avvicina minimamente al suo reale contenuto. Ok, è vero c'è la società letteraria del titolo...è questo di cui parla il libro ma di una società così strana di sicuro non avete mai sentito parlare e quando conoscerete le regole del Gioco, rimarrete a bocca aperta. Preparatevi a stranezze e imprevisti alla Murakami way, pagine infestate da nani, fate, ondine che disturberanno la vostra lettura quanto più cercherete di capirci qualcosa.

Incipit

"Quando un assassino di nome Raskol'nikov venne ucciso in mezzo alla strada sotto i suoi occhi la lettrice dapprima rimase sbalordita e poi irritata. A colpirlo al cuore fu Sonja, prostituta dall'animo puro. Successe nel mezzo di un tema sul classico di Dostoevskij.
La lettrice si chiamava Ella Amanda Milana, Ventisei anni, splendide labbra carnose e un problema alle ovaie."

_____

Sarà un post un po' diverso dal solito, più breve prima di tutto, e magari anche un po' cattivo, dato che non sono clemente con i libri che non mi piacciono. Può essere che sia io a non averci capito nulla, o magari è stato il fatto di averlo letto dopo Stoner a crearmi qualche problema di immedesimazione, oppure qualche strana legge per cui i libri che compro con più entusiasmo sono anche quelli che mi piacciono di meno.
Durante la lettura ho alternato il disperato tentativo di lasciarmi trasportare al desiderio incoercibile di attuare una defenestrazione violenta di questoammassodipagineslashsprecodicarta. Non nego che ci siano degli ottimi spunti, tutti però abilmente assassinati:
- libri che mutano: l'idea dell'esistenza di alcune copie di libri famosi con un finale diverso rispetto all'originale è interessante ma attribuire questa anomalia a un fungo o muffa, è assurdo.
- la società letteraria: leggere un libro su una società letteraria per un lettore amante dei libri è come partecipare a une festa, una festa da cui però si può uscire anche estremamente delusi. Ma poi una società in cui raccontarsi i segreti è definito colare? 

pag. 176
"Per quanto mi riguarda possiamo anche iniziare"  disse Talvimaa "fammi colare".

La prima volta che il termine è comparso ho pensato a uno sbaglio, a un errore di traduzione. Poi ho letto lo stesso termine almeno altre venti volte, e ogni dubbio si è dissipato. In questa esclusivissima società letteraria non si dice raccontare, si dice colare. 

Altra cosa che ho odiato: la stranezza della storia e dei dialoghi con evidenti risonanze murakamiane. 

Ho amato invece la storia di Oskar, che compare come un fantasma nei racconti dei membri della società e regala alla storia un pizzico di quell'allure magica a cui essa disperatamente aspira. Avrei dedicato più pagine alla caratterizzazione di questo personaggio che a molti altri dettagli almeno per me inutili. Forse allora il libro mi sarebbe piaciuto di più, scevro da tutti questi particolarismi che lo rendono difficile da digerire e amare, senza questo stile nevrotico e immaginoso fatto di frasi che si rincorrono a un ritmo sfrenato e levano ogni sacralità all'arte del racconto, che è fatto di tempi, di ritmi, di punti messi al posto giusto.

Poi la fine. L'autore ci congeda così:
"Mie care creature, a volte assistiamo a fatti miracolosi, raggiungiamo luoghi che non avremmo nemmeno potuto sognare. Solo colui che non ha mai imparato niente crede di poter conservare in eterno ciò che trovato."

Una bella frase che però mi sembra non c'entri niente col resto. 
Stelle da dare, solo due, e neanche intere. 

martedì 25 novembre 2014

Stoner - John Williams


È difficile ammetterlo ma scrivere recensioni, o meglio dei commenti su un libro, è qualcosa di molto simile a una sfida. Quando te ne accorgi, sei già entrato in competizione con l'opera, stai già cercando migliaia di parole ancora più speciali di quelle che ti hanno fatto tremolare l'anima, e sul cui significato complessivo ancora ti interroghi.  Ci sono casi però in cui resterai senza parole da dire, senza pensieri da pensare, solo con i tuoi brividi e con una specie di fredda nostalgia a inebetirti il cervello. È quello che succede quando leggi un libro speciale, e di libri speciali ce ne sono pochi. Uno di questi è Stoner. È quel tipo di libro che leggi senza pensare al numero delle pagine, senza neanche vederle le pagine, senza vedere quei numeretti stampati sul margine che indicano quanto sei più o meno lontano dalla fine, dal significato profondo del libro. È strano perché sensazioni del genere solitamente capitano con i fantasy o con i libri che parlano di cose che non c'entrano nulla con la realtà. Stoner, invece, è reale. C'è almeno un personaggio nel libro con cui possiamo identificarci completamente. È un libro con una trama semplice, pur non essendo un libro che si dimentica, eppure vorremo rileggerlo sempre un'altra volta. Su di lui The New Yorker : "Il più bel romanzo americano che non avete ancora letto." Ed è vero, è tra i romanzi più belli che non avete ancora letto, il romanzo che state cercando, un romanzo che parla di tutti, che parla dell'uomo.

Stoner nasce in una famiglia di contadini. Quando raggiunge l'età, viene spinto dal padre a iscriversi alla facoltà di agraria. Si trasferisce a Columbia dove studia agraria, svolge mansione umilianti per potersi permettere l'alloggio presso dei lontani parenti dei suoi genitori. L'incontro con la letteratura inglese, insegnata dal professore Archer Sloane, sarà il primo vero motivo di turbamento per Stoner, il suo primo vero interesse. È qui che inizia veramente la storia, e anche la vita di Stoner, perché forse si può dire che la vita di un uomo comincia veramente solo quando egli incontra le sue passioni. E la passione di Stoner è tanto forte da riverberarsi nei suoi occhi e consentire ad Archer Sloane, professore di letteratura inglese che Stoner ammira, di cogliere quella fiamma e in base a essa di predirgli il suo destino. Stoner diventerà un professore. 
E così assistiamo al compimento di questo destino, agli eventi che ne increspano il tranquillo dispiegarsi, mentre Stoner avanza passo dopo passo, tra quelle che sono le sue conquiste ma anche le sue sfortune, armi a doppio taglio. Vorremmo urlare a Stoner i nostri consigli, perché dopo le prime cento pagine, ci sembra così naturale leggere di lui, che crederemmo quasi di potergli camminare accanto, che le orme impresse accanto alle sue nelle neve non siano altro che le nostre. Ma in fondo non possiamo fare niente. È la normalissima vita di un uomo quella che ci fa sobbalzare eppure vi cogliamo incessantemente, in ogni evento, piccolo o grande, una strana aura di mistero, da cui sorgono infinite domande. Che cosa turba Archer Sloane? Cosa induce Edith a nascondersi dentro se stessa, cosa impedisce a Stoner e a Edith di amarsi? Che rapporto c'è tra il professor Lomax e lo studente Charles Walker che li accomuna aldilà del loro corpo martoriato? Potrete solo immaginare delle risposte, perché niente viene spiegato, approfondito, scandagliato. Eppure è nascosto abilmentre tra le righe, neanche tanto distante dal significato superficiale, da impedirci di coglierlo. E quando lo vediamo, ne siamo sopraffatti, ammaliati, incantati, complici le parole scelte, i discorsi, le descrizioni, tutti frutti della scrittura meravigliosa di John Williams. 
Stoner è un libro che non potrete dimenticare, né subito dopo dopo averlo letto, né mai. 
Ci sono tantissime frasi bellissime che vorrei riportare qui, ma rovinerei la magia di leggerle per la prima volta nel contesto del libro, quindi ne scriverò solo due. 
La prima è questa:
Pag.226
"Quando era giovanissimo, Stoner pensava che l'amore fosse uno stato assoluto dell'essere a cui un uomo, se fortunato, poteva avere il privilegio di accedere. Durante la maturità, l'aveva invece liquidato come il paradiso di una falsa religione, da contemplare con scettica ironia, soave e navigato disprezzo, e vergognosa nostalgia. Arrivato alla mezza età, cominciava a capire che non era né un'illusione né uno stato di grazia: lo vedeva come una parte del divenire umano, una condizione inventata e modificata momento per momento, e giorno dopo giorno, dalla volontà, dall'intelligenza, e dal cuore."


Pag.39: "Tu credi che ci sia qualcosa qui, che va trovato. Nel mondo reale scopriresti subito la verità. Anche tu sei votato al fallimento. Ma anziché combattere il mondo, ti lasceresti masticare e sputare via, per ritrovarti in terra a chiederti cos'è andato storto. Perché ti aspetti sempre che il mondo sia qualcosa che non è, qualcosa che non vuole essere."

martedì 18 novembre 2014

La felicità delle piccole cose - Caroline Vermalle


Titolo: La felicità delle piccole cose
Autore: Caroline Vermalle
Editore: Feltrinelli
Pagine: 218
Prezzo: 15.00

Incipit
A Parigi la neve cadeva sulle rive della Senna, e due giovani donne osservavano i fiocchi volteggiare nell'aria. Il vetro freddo della finestra all'ultimo piano di un palazzo sull'Ile Saint-Louis era appannato in due punti. Su uno era stampato il bacio di Pétronille, venticinque anni. I boccoli castani le arrivavano alle spalle, e si tirava continuamente un lembo del cardigan che le disegnava le forme. L'altro punto appannato tremolava a ogni sospiro della sorella maggiore di Pétronille, Dorothée. Aveva trentun anni, era bionda e slanciata e i luminosi occhi azzurri esprimevano determinazione."

______

A Parigi nevica, come non nevica da tanti, troppi anni. I fiocchi di neve volteggiano nella tempesta, insieme ai sogni perduti della gente. La felicità delle piccole cose per chi non ha la voglia o il coraggio di afferrarle, si scioglie come si scioglie la neve.
Eppure la vita non si arrende, continuamente ci pone di fronte a nuove sfide come davanti a uno specchio in cui siamo costretti a osservare noi stessi, a rintracciare la nostra vera essenza in quello che stentiamo a riconoscere come il nostro riflesso.
E allora può succedere qualsiasi cosa. Può succedere di ritrovarsi perduti dentro a una tempesta senza sapere quale direzione prendere, perché all'improvviso sembra non esserci più nessuna direzione. Allora l'unica cosa da fare è partire alla ricerca della felicità in una caccia al tesoro in cui il tesoro è la mappa stessa, il percorso che tracciamo per trovarlo, incontrando tappa dopo tappa quelle piccole cose di cui avevamo dimenticato l'esistenza  e che alimentano la nostra felicità e rappresentano i nostri desideri più profondi.

È così che i protagonisti di questo romanzo diventano felici, mentre costruiscono pagina dopo pagina la loro personale mappa del tesoro. Alla fine del romanzo non sono più gli stessi. Frédéric e Pétronille sono l'esempio di come il fallimento rappresenti soltanto la fine delle nostre illusioni e l'inizio della vita vera, quella che fa per noi, quella in cui possiamo essere finalmente sinceri, con noi stessi e con gli altri. Fare spazio all'amore, per noi stessi e per gli altri.
Che sia una pasticceria o una galleria d'arte, le vie che sceglie la vita per spingerci a inseguire le nostre passioni sono infinite e tutte bellissime. Alla fine tutti i personaggi trovano quello di cui hanno bisogno, fanno pace col passato e si preparano a incontrare il futuro.
Nel frattempo noi lettori respiriamo l'aria parigina tra un viaggio in treno e una gita in barca, passando per Giverny e il Musee d'Orsay, inseguendo indizi misteriosi al seguito di altrettanto misteriosi personaggi, anime scalfite dalla vita che lottano per rimandare il momento dell'ultimo respiro. Ernest, Gilles, Bertrand, Maurice il fantomatico Fabrice Nile sono i personaggi buoni, i re di questa storia. È a loro che questa storia deve il lieto fine.

Lettura perfetta in questo periodo, se si cerca qualcosa di leggero e delicato. Soltanto penso che non fosse necessario quel colpo di scena finale, così ricercato e se vogliamo anche un po' incredibile. Alcuni aspetti della storia rimangono sospesi nel nulla a vantaggio di alcuni dettagli che sembrano non portare da nessuna parte. Ma in fondo è una storia semplice, una storia per quei giorni in cui non ci sia spazio per storie tristi e pesanti, ma soltanto per le piccole cose, quelle che rendono felici.

venerdì 14 novembre 2014

Il grande Gatsby - Francis Scott Fitzgerald



Titolo : Il grande Gatsby 
Autore : Francis Scott Fitzgerald
Pagine: 180
Prezzo: 15, 90
Edizione: Mattioli


"Nelle sere d'estate giungeva musica dalla casa del mio vicino. Nei suoi giardini azzurri uomini e ragazze andavano e venivano come falene tra i sussurri e lo champagne e le stelle."

Sinossi: Nell'estate del 1922 Nick Carraway si trasferisce a West Egg ( nome fittizio per indicare una città nella penisola di Long Island) dove fa conoscenza con Jay Gatsby un ricco e misterioso signore che vive nella colossale dimora accanto alla sua e che presto lo introduce nella sua esistenza sfarzosa e frenetica che sembra srotolarsi tra i numerosi quanto vani tentativi di ri/conquistare l'amore di Daisy Buchanan.
Incipit: Quando ero più giovane e più vulnerabile,mio padre mi diede un consiglio  a cui da allora non ho più smesso di pensare. "Ogni volta che ti vien voglia di criticare qualcuno" mi disse, "ricordati che non tutte le persone in questo mondo hanno avuto le possibilità che hai avuto tu."


Ricordo quando tutti parlavano del grande Gatsby. Soltanto un anno fa, dopo l'uscita del film di Baz Luhrmann, il grande Gatsby era ovunque. Ricordo anche il mio rifiuto categorico di andarlo a vedere, non prima di aver letto il libro almeno. Da qui la frenesia di averlo, leggerlo, conoscere quel finale che sembrava aver tradito le aspettative sognanti di tutti. La scelta su quale edizione comprare è stata ponderatissima e di edizioni ce ne sono veramente tante. Alla fine ho scelto quella di Mattioli, nella collana Originals, a cui sono super-affezionata, con la copertina che è un quadro commissionato dall'editore Scribner a  Francis Cugat: due occhioni tristi che dicono già tanto sulla storia.
Non vedevo l'ora di leggerlo. E poi l'ho letto, d'un soffio, nello spazio di una notte, come quelle che si consumano nelle feste organizzate da Gatsby, che pure non ne è mai coinvolto. Anzi si aggira solitario in casa e a volte scompare, immerso com'è in quella che è la sua condizione perpetua, una solitudine esistenziale fatta dei richiami di un fantomatico amore, l'unica cosa che davvero lo anima, compone le sue parole, guida i suoi gesti, comanda ogni attimo della sua vita. Non c'è niente che stimoli il suo interesse più di Daisy, del suo amore per Daisy, già conosciuta e amata anni prima. È un gioco tra presente e passato, ricostruire negli attimi che si vivono quello che è stato, che si è vissuto, e si ricorda come luminoso e splendido ma che luminoso e splendido non è. L'amore è distruttivo, certe volte, o sempre, quando è più forte perfino del proprio istinto di conservazione.

E Daisy? Non si capisce mai, almeno non l'ho capito io, cosa provi veramente, cosa ami, cosa odi. Sembra prendere la vita degli altri come un gioco in cui intromettersi e alterare ogni regola. Perché ogni gioco che si rispetti, ha delle regole, e lei le infrange tutte, con il suo fare talvolta leggiadro e sognante, talvolta isterico e incontrollato che finisce per essere tanto ammaliante quanto corruttivo.

Daisy:
"Mi piace vederti qui al mio tavolo, Nick. Mi ricordi una... Una rosa, una pura e una perfetta rosa. Non è vero?" Si voltò verso la signorina Baker per avere conferma. "Una rosa perfetta, non credi?"

Niente è perfetto. Perfette sono soltanto le circostanze che si incastrano nei contorni di questa storia, e la rendono reale, triste, sconvolgente. Non si può che assistere impotenti, desiderando di non aver voltato pagina e non averla letta la fine, poche pagine che disegnano un destino, e ti lasciano, forse troppo presto, a rimuginare, rimescolare ogni dettaglio.
Tutti gli altri personaggi restano un po' sullo sfondo. Pur essendo essenziali, scompaiono come scompare il chiarore delle stelle alla luce del sole.

Meraviglioso lo stile di Gatsby. Può risultare piatto, rigido, freddo a molti ma a me è piaciuto tantissimo, con tutte quelle frasi dolci e insieme tristi, sparpagliate per le pagine, che raccontano la verità del mondo.

"E mentre sedevo là, meditando su quel vecchio mondo sconosciuto, pensai alla meraviglia di Gatsby quando per la prima volta aveva scorto la luce verde all'estremità del molo di Daisy. Aveva fatto tanta strada per arrivare a quel prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non potergli più sfuggire. Non sapeva che se l'era già lasciato alle spalle, da qualche parte, nella vasta oscurità al di là della città, dove i campi scuri della repubblica si stendevano nella notte."



mercoledì 12 novembre 2014

Gli amori difficili - Italo Calvino


Titolo: Gli amori difficili
Autore: Italo Calvino 
Pagine: 230
Edizione: Oscar Mondadori

Sono tredici gli amori difficili raccolti in questo volume. Brevi racconti in cui trovano spazio le vite ordinarie di personaggi ordinari. Potremmo benissimo esserci noi tra le pagine, noi persone comuni, che pensiamo di non aver nulla da raccontare, noi che viaggiamo in treno, che leggiamo un libro sulla spiaggia, che guardiamo il mondo attraverso un paio di occhiali, fotografiamo, scriviamo una poesia. Potremmo essere noi i protagonisti di un amore difficile, quello spazio bianco e incolmabile tra una riga e l'altra, tra noi e il mondo, tra noi e un'altra persona, che tentiamo inutilmente di riempire di sentimenti e di emozioni senza far altro che concedere ulteriore tempo all'avidità dei pensieri inconfessati. 
È un amore difficile quello che impedisce al fante Tomagra del primo racconto di trovare il giusto approccio per comunicare con la vedova seduta accanto a lui, per trasmetterle anche solo una parte di sé, anche se non si conoscono, se non si sono mai visti. 
Un amore difficile quello della signora Isotta con sé stessa, costretta durante un bagno a mare a rimanere sola col suo corpo per aver perduto il costume in acqua , o di Amedeo con la villeggiante con cui si trova a condividere un pezzo di spiaggia. 
Un amore difficile separa e avvicina due sposi che non si incontrano mai per via dei turni di lavoro, che vorrebbero stare più tempo insieme ma non trovano il modo di comunicarsi il reciproco desiderio.
E così via, ogni amore difficile è un'avventura, che ci coglie impreparati in un momento qualsiasi della nostra vita, e rende astratti i nostri sforzi di comunicare con gli altri o con noi stessi e sempre più tangibile il bisogno di farlo. 

"Un paese incastrato in uno spacco tra quelle alture s'allungava tutto all'in su, le case una sopra l'altra, divise da vie a scale, acciottolate, fatte a conca nel mezzo perché vi scoli il rivolo dei rifiuti di mulo, e sulle soglie di tutte quelle case c'erano una quantità di donne, vecchie o invecchiate, e sui muretti, seduti in fila, una quantità di uomini, vecchi e giovani, tutti in camicia bianca, e in mezzo alle vie fatte a scala i bambini per terra che giocavano e qualche ragazzetto più grande disteso attraverso la strada con la guancia sul gradino, addormentato lì perché ci faceva un po' più fresco che dentro casa e meno odore, e dappertutto posate e in volo nuvole di mosche, e su ogni muro e su ogni festone di carta di giornale attorno alle cappe dei camini l'infinita picchiettatura degli escrementi di mosca, e a Usnelli venivano alla mente parole e parole, fitte, intrecciate le une sulle altre, senza spazio tra le righe, finché a poco a poco non si distinguevano più, era un groviglio da cui andavano sparendo anche i minimi occhielli bianchi e restava solo il nero, il nero più totale, impenetrabile, disperato come un urlo."

Tutte queste storie sono più che mai attuali, e non potranno che continuare a esserlo. Lo stile di Italo Calvino rende piacevole ogni lettura, senza enfatizzarla con parole inutili e superflue, raccontando solo il necessario. L'ordinario così diventa straordinario, ci conduce verso la fine che giunge inaspettata e ci lascia ancora un po' immaturi per comprendere il senso profondo di ogni storia.
Alla fine dei tredici racconti, si trovano per ultime due storie che compongono la seconda parte del libro, La vita difficile. 
La formica argentina e La nuvola di smog, fanno luce sulle piccole difficoltà della vita. Ho trovato queste due storie, più piatte e più difficili da leggere ma complessivamente piacevoli. 

Ho un debole per Calvino, per la sua scrittura semplice ma straordinariamente evocativa. Rileggerei mille volte le frasi che concludono ogni racconto e che sembrano contenere tutta la poesia risparmiata dal resto della storia, che arrivano come dolci proposte a voltare pagina, sulla prossima storia, sul prossimo racconto. 

"Alla stazione Termini, il primo a saltar giù dal vagone, fresco come una rosa, era lui. In mano stringeva il gettone. Nelle nicchie, tra i pilastri e gli stand, i telefoni grigi non attendevano che lui. Infilò il gettone, fece il numero, ascoltò col batticuore il trillo lontano, udì il - Pronto...- di Cinzia emergere ancora odoroso di sonno e di soffice tepore, e lui era già nella tensione dei loro giorni insieme, nell'affannosa guerra delle ore, e capiva che non sarebbe riuscito a dirle nulla di quel che era stata per lui la notte, che già sentiva svanire, come ogni perfetta notte d'amore, al dirompere crudele dei giorni."

venerdì 7 novembre 2014

Che tu sia per me il coltello - David Grossman



Autore: David Grossman
Titolo: Che tu sia per me il coltello
Editore: Oscar Mondadori
Pagine: 330
Prezzo: 10 euro

Incipit:
"Myriam, 
tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.Ti ho vista l'altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamato "professoressa". Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. È tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere delle lettere da me."


Sinossi:

In un gruppo di persone, un uomo vede una donna sconosciuta che con un gesto quasi impercettibile - si stringe nelle braccia - sembra volersi isolare dagli altri. E' un gesto che lo commuove e lui, Yair, le scrive una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto, libero da qualsiasi vincolo, ma esclusivamente epistolare. Più che una proposta è un'implorazione, e Miriam ne resta colpita, forse un poco sedotta. Accetta anche se spera di trasformare le parole in fatti, perché quella in cui lei crede è un'intimità assoluta. Un mondo privato si crea così fra loro, ognuno dei due offre all'altro ciò che mai avrebbe osato dare ad alcuno, e in questo processo di svelamento Yair e Miriam scoprono l'importanza dell'immaginazione nei rapporti umani, e la sensualità che si nasconde nelle parole. E' una scoperta lenta e dolorosa. Perché Yair - istintivo, spaventato, infantile - nel concentrarsi su se stesso e nel preoccuparsi del proprio fascino, non riesce a capire ciò che Miriam gli sta raccontando per davvero. Solo col tempo si accorge che ognuna delle lettere di questa donna, così generosa nel ricevere e nel dare, racchiude qualcosa di assolutamente inatteso: lei si rivela una creatura di singolare intensità, che ha sofferto, ha lottato, e per questo può condurlo a una svolta nella sua vita interiore. Soltanto lì Yair a poco a poco si ritrae per fare emergere la straordinaria figura di Miriam. Il ritratto di due persone che, nel condividere la parte nascosta di se stessi, inventano un mondo e il linguaggio per esprimerlo.


Se vi piacciono le storie d'amore poco convenzionali, questo libro fa per voi. Chi conosce già Grossman e ha letto alcuni dei libri per cui è diventato un vero e proprio caso letterario (Vedi alla voce: amore; Qualcuno con cui correre) non rimarrà affatto deluso da questo capolavoro. In un mondo tecnologico e virtuale, dove l'amore diventa sempre più 2.0, Grossman ci riporta indietro nel tempo, quando la conoscenza tra persone avveniva tramite corrispondenza epistolare, rimanendo però, ancorati nel presente. Il libro, infatti, non è altro che una raccolta di epistole che i due protagonisti dei giorni nostri si scambiano. Yair non conosce Myriam, ma viene subito colpito da questa donna, a tal punto da decidere di scriverle una lettera e cominciare così uno scambio epistolare. Non vuole incontrarla, per non cadere nella banalità e nella rozzezza che porterebbe i due ad avere una relazione extraconiugale. Vuole che lei sia il coltello col quale possa scavarsi a fondo, sprofondare dentro sé stesso. Come se fosse questo l'amore, un coltello che affonda in noi, arriva diretto al cuore e ti lascia senza fiato. Un libro introspettivo, spirituale, un amore fuori dal comune, fuori dalle logiche, quasi irreale, evanescente perché può scomparire come scompare un pezzo di carta su cui abbiamo appuntato qualcosa di importante. Ma ciò che più mi ha colpita, è che nonostante si tratti di lettere, risme infinite di fogli e inchiostro, il sentimento è reale, tangibile, emozionante. L'impossibilità del loro amore, del loro incontro fa sì che questa storia sia così affascinante, e il loro sentimento più che mai autentico e puro, tanto da far rivalutare la parola "Amore".



"Hai descritto te stessa per eliminare qualsiasi dubbio, ti sei riassunta in una sola frase, oltretutto tra parentesi. Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo rimanga fuori, che sia solo l'esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno."



"È il segreto che ti sussurro all'orecchio già da un mese: noi due non siamo vivi! Voglio dire, non in un luogo in cui vigono le leggi ordinarie che regolano i rapporti tra le persone, tantomeno tra uomo e donna. Dove siamo, allora? Non m'interessa saper dove, perché dargli un nome? Sarebbero comunque nomi "loro", nomi tradotti, e con te voglio una costituzione diversa di cui saremo noi a fissare le leggi."



"Ma dentro di me esisti in un modo che mi atterrisce."



Come vorrei pensare a noi come due persone che si sono fatte un'iniezione di verità,per dirla,finalmente,la verità."

Federica.

martedì 4 novembre 2014

Libri non finiti

Ci sono libri cominciati e mai finiti. Scommetto che ce n'è almeno uno nella libreria di ogni lettore. Nella mia ce ne sono tanti. Ho sempre cercato di non pensarci. Perché mi fido dei libri e odio quando compro un libro che poi non mi piace. In alcuni casi si tratta anche di libri famosi o "importanti"...ma non ho mai trovato un vero motivo per continuare a leggerli.
Ecco i libri che mi hanno dato tantissimo filo da torcere:

  • David Copperfield di Charles Dickens, una pesantezza incredibile, in tutti i sensi...
  • Moby Dick di Herman Melville; avevo cominciato con le migliori intenzioni e mi stava anche piacendo ma poi mi sono arenata al capitolo della descrizione delle balene...è un manuale di cetologia o un romanzo?
  • La città e la metropoli di Kerouac; l'incipit è meraviglioso ma la storia è di una noia mortale, è un libro che parla di tutto e di niente...poi dopo aver letto On the road ed essermi arenata anche lì ho capito che Kerouac non fa per me.
  • Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore di Poe; mm qui mi limito a dire che non è il mio genere.
  • Il diario del vampiro di Lisa Jane Smith; 10 romanzi in un unico volume. Ne ho letti circa 7, e poi mi sono fermata stremata dalla scrittura infantile e dalla piattezza della storia.  

lunedì 3 novembre 2014

Viaggio al termine della notte - Louis-Ferdinand Céline

Ci stavo arrivando a questo post, alla fine di questo viaggio, sempre se un viaggio come questo può veramente mai finire. Ma di restituirmi il pezzo di anima che c'ho lasciato dentro, questo libro non ne vuole proprio sapere. Respiro un'ultima volta le pagine, come faccio all'inizio e alla fine di ogni lettura, rileggo l'inizio e penso a come non ho fatto caso, per niente, che quelle prime parole ( "È cominciata così. Io, avevo mai detto niente. Niente. È Arthur Ganate che mi ha fatto parlare.") già mi avevano travolto nel disvelamento di questa cosa oscura e pesante che è sto libro. Perché l'opera più importante di Céline, è di un nichilismo, decadentismo, pessimismo così potenti che si legge ogni pagina lentamente, senza respiro, come si rimarrebbe se fosse possibile per qualche oscura magia rinchiudere tutta la razza umana nel buio della propria coscienza.

Sono due mesi che sono rimasta appiccicata al libro, senza nessuna possibilità di dimenticarlo, tentando di ricostruire in tutti i modi la mia umanità e quella di tutti gli altri, così brutalmente distrutte e distaccate dal mondo, quello bello, a causa di questo orrorifico e disumanizzante viaggio infinito verso la fine della notte, che non si sa mai cosa ci sia ancora dietro il velo buio delle notti, quale altra storia di cui temere, quale altra morte, quale altra distruzione. Tutto è risucchiato dalla notte.
Se rimane ancora qualcosa di bello, di caldo dentro l'anima degli uomini, se ancora esiste un'anima mi vien da dubitarne a ogni parola, a ogni frase di Céline, dentro questo marasma denso e disperato che è la vita. 
Non so se lo consiglio, preferisco consigliare cose che fanno sorridere, che fanno pensare a un po' di luce perché di tenebra ce n'è abbastanza e forse non c'è nemmeno bisogno di parlarne troppo. 
Ma voglio dare tutte le stelle che posso allo stile, alle parole che sibilano come proiettili mentre ti entrano dentro, e mentre ti avvelenano pensi che vorresti proprio scrivere così, ma per scrivere che non è affatto vero tutto questo, che c'è ancora un po' di speranza, che non è tutta guerra e morte, questa storia qua, questa storia nostra.

Pag. 227 ed. Corbaccio
"Allora i sogni affiorano nella notte per andare a incendiarsi nel miraggio della luce che si muove. Non è affatto la vita quella che accade sugli schermi, resta dentro un grande spazio torbido, per i poveri, per i sogni e per i morti. Bisogna fare in fretta a ingozzarsi di sogni per attraversare la vita che vi aspetta fuori, usciti dal cinema, resistere qualche giorno in più attraverso quell'atrocità di cose e di uomini. Uno sceglie tra i sogni quelli che gli riscaldano meglio l'anima."

Pag. 232
"Allora di colpo tutto diventa semplice, divinamente, senza dubbio, tutto quel che era così complicato un momento prima...tutto si trasforma e il mondo paurosamente ostile si mette di colpo a rotolare ai tuoi piedi come una palla sorniona, docile e vellutata. Allora forse la perdi in quello stesso istante l'abitudine spossante di fantasticare su quelli che ce l'hanno fatta, sulle fortune felici visto che si può toccare con mano tutto ciò. La vita, per chi non ha mezzi, è solo un lungo rifiuto in un lungo delirio e uno mica la conosce bene sul serio, ci si libera solo di quello che si possiede. E già per conto mio, a furia di prendere e lasciare sogni, avevo la coscienza in balia delle correnti d'aria, tutta escoriazione e screpolature, rovinata da far spavento."



domenica 28 settembre 2014

Domenica tra i libri #1

Domenica tra i libri, libri nuovi che sono detentori di promesse. Io con le promesse sembra che abbia un problema, o forse il problema è con i libri, nel senso che, non riesco proprio a resistere alla promessa di una bella storia. Fuggo in libreria ogni volta che posso e torno sempre a casa con un peso di carta e storia nella borsa. Sfogliare pagine sta diventando un'attività magica, un rito che non mi stanco mai di ripetere perché mi porta sempre qualcosa di nuovo. Questa è magia, la magia dei libri, libri che sanno farti dimenticare, addormentare, svegliare, librare, giocare, ridere, piangere, spaventare.
Vorrei dare un appuntamento fisso ai libri, dedicare loro un giorno della settimana e mettere le prove qui sul blog. Le prove di quando vado in libreria e sprofondo per ore in un'altra dimensione in cui i pensieri hanno un peso minore, inferiore a quello di una piuma, dove i rumori e gli odori svaniscono come lontane cose effimere. Certi giorni si ha bisogno di staccarsi un po' da questo mondo. Questi giorni è meglio scappare in libreria. Quindi ecco cosa intendo: Domeniche tra i libri. Questa è la prima e questo è il mio bottino.

venerdì 26 settembre 2014

La piramide di fango - Andrea Camilleri

L'esplodere fragoroso di un tuono  sveglia bruscamente Montalbano. È il tuono che chiude il temporale, come l'ultimo sparo di una serie di fuochi d'artificio. È troppo tardi per chiamarla notte, ma troppo presto per chiamarlo giorno e l'idea di rimettersi a dormire nella quiete ritornata non è una cattiva idea per Montalbano. Ma come sempre il telefono squilla perché il tempo degli uomini morti ammazzati è un tempo destinato a durare ancora, è un temporale che non finisce mai.

Questa volta si tratta di scoprire chi ha ucciso l'uomo ritrovato in un cantiere, riverso affacciabocconi nel fango, o nel fangue come dice un profetico Catarella, che fa una crasi tra fango e sangue, una storpiatura che trova un riscontro reale nella mescolanza di fango e sangue che ricopre il cadavere come una veste di morte.

L'intelligenza di Montalbano, seppure in questo caso un po' intorpidita dalla preoccupazione per Livia che sembra aver perso l'entusiasmo della vita, è una macchina che si alimenta di intuizioni e di fantasia, che corre più o meno veloce verso la soluzione, che non cede alle mascherate fatte per sviarla, e trova sempre il colpevole.

Meravigliosa l'anteprima del libro scritta da Salvatore Nigro.


“Si sono aperte le cateratte del cielo. I tuoni erompono con fragore. Nel generale ottenebramento, e sotto la pioggia implacabile, tutto si impantana e smotta. Il fango monta e dilaga: è una coltre di spento grigiore sulle lesioni e sulle frane. La brutalità della natura si vendica della politica dei governi corrotti, che non si curano del rispetto geologico; e assicurano appalti e franchigie alle società di comodo e alle mafie degli speculatori. A Vigàta dominano le sfumature opache e le tonalità brune delle ombre che si allungano sull’accavallato disordine dei paesaggi desolati; sui lunari cimiteri di scabre rocce, di cretti smorti, e di relitti metallici che sembrano ossificati. Questa sgangherata sintassi di crepature e derive ha oscuri presagi. E si configura come il rovescio tragico dell’allegra selvatichezza vernacolare di Catarella, che inventa richiami fonici ed equivalenze tra «fango» e «sangue»; e con le confuse lettere del suo alfabeto costruisce topografie che inducono all’errore. Del resto, macchiate di sangue sono le ferite fangose del paesaggio; e l’errore è consustanziale al labirinto illusionistico dentro il quale i clan mafiosi vorrebbero sospingere il commissario Montalbano per fuorviarlo, e convincerlo che il delitto sul quale sta indagando è d’onore e non di mafia. La vicenda ha tratti sfuggenti, persino elusivi. Un giovane ferito a morte ha inforcato una bicicletta e ha pedalato con fatica in quella solitudine di fango. Sua moglie è scomparsa. E con lei un presunto zio, che non ha nome, non ha volto, e non lascia impronte. Ci sono attentati, intimidazioni, delazioni, false confessioni e depistaggi spregevoli. Scorre altro sangue. E c’è una casa dei misteri. Montalbano stenta a farsi un quadro generale della situazione. Conduce le indagini con l’indolenza di chi sbriga una pratica burocratica. È in preda a una morbida malinconia. Pensa con tenerezza e apprensione a Livia lontana, al loro ménage, alla mestizia che asserraglia la donna. Prevale alla fine la saggezza dell’istinto; lo scatto leonino, che gli dà esattezza di visione. Ha nella mente un «romanzo»: il «romanzo» di un segreto, che i clan mafiosi custodiscono e occultano nella lutulenta piramide delle loro criminali macchinazioni. Capisce che deve fare «un buco nella parete della piramide», e decapitarla. Ci riesce con uno «sfunnapedi» o «trainello». Dimostra così la verità degli slarghi narrativi della sua «bella storia», del suo romanzo, della sua «opira di pupi». Intanto la natura si risveglia. Di tra le rughe polverose e le spaccature del fango essiccato, fanno capolino nuovi ciuffi di luminosa erba fresca. Montalbano può correre adesso all’abbraccio con Livia, a Boccadasse.”   Salvatore Silvano Nigro

venerdì 19 settembre 2014

Ragione e sentimento di Jane Austen e 1984 di George Orwell

Oggi, parlare di libri mi sembra il modo migliore per cominciare questa mattina fresca e grigiastra e riprendermi dai postumi di un ieri risucchiato dai ritmi frenetici della fiera (del levante) e finito poi in birra. Stamattina poco ha potuto il caffè quindi è probabile che scriverò qualche cavolata, soprattutto dato i libri che ho scelto di mettere sul blog oggi. Due letture estive, fatte di fila, separate da un secolo di altra letteratura. Due mondi completamente diversi, per cui forse è un azzardo metterle nello stesso post,ma sono troppo pigra per farne due post separati...

Ragione e Sentimento di Jane Austen, fratello maggiore del più famoso Orgoglio e Pregiudizio, mi ha deluso tantissimo. Ma sarà anche perché lo stile di Austen mi è sembrato in questo libro ancora più noioso e ostico che in Orgoglio e Pregiudizio.
Ammetto di averlo comprato essenzialmente per la copertina (l'edizione Bur italiana con le due gerbere arancioni - quella qui accanto è un'edizione inglese - mi ha completamente rapita).
E così l'ho comprato con una certa dose di entusiasmo, lo stesso che si è miserevolmente spento durante la lettura. Non mi è piaciuto proprio niente di questo romanzo. Noioso come l'inverno, noiosi i personaggi, la storia, il finale. Il mio cuore non ha fatto neanche un piccolo salterello dall'emozione ma si è qualche volta stretto di compassione e di pena per le due povere protagoniste. Due sorelle sfigate, ma veramente sfigate.
Le due signorine in questione sono Marianne, fatta di cuore e passione, ed Elinor, rigida come il legno e la ragione. Le due parole del titolo, ragione e sentimento, sono appunto Elinor e Marianne così vicine eppure opposte come una faccia sdoppiata dal riflesso di uno specchio.
Questa divergenza caratteriale le porterà spesso a lamentarsi l'una dell'altra senza che però il comportamento di una si riveli migliore di quello dell'altra. Né il sentimento né la ragione vincono quando si tratta di amore e di vita, di sofferenza e di perdita. Sia Marianne che Elinor sono destinate a subire sconfitte importanti nel corso della storia perché il loro comportamento pende sempre troppo da una parte o dall'altra col risultato di non approdare a nessuna conclusione giusta ed equilibrata.
L'incapacità di contenere il proprio esuberante spirito porterà Marianne a non rendersi conto di quanto sia sbagliata la persona di cui si sta innamorando mentre l'impossibilità a lasciarsi andare di Elinor le impedirà di fare qualsiasi passo verso l'oggetto del suo amore, lasciando che ogni tentativo venga deviato da diverse circostanze.
I piccolissimi cambi di direzione della storia che dovrebbero conferirle un po' di verve sono prevedibili e privi di qualsiasi effetto narrativo, l'eccessiva tendenza all'analisi della Austen rende ogni pagina un carico narrativo difficilissimo da sopportare e la ridondanza di episodi di vita quotidiana è la bacchettata finale a una storia così insopportabilmente settecentesca. Quando ho girato l'ultima pagina ero esasperata.


1984. Lettura difficile anche questa, ma per altri motivi. Scorrevole, ma inquietante, perché reale.

Era una luminosa e fredda giornata d'aprile, e gli orologi battevano tredici colpi. Winston Smith, tentando di evitare le terribili raffiche di vento col mento affondato nel petto, scivolò in fretta dietro le porte di vetro degli Appartamenti Vittoria: non così in fretta, tuttavia, da impedire che una folata di polvere sabbiosa entrasse con lui.

Da questo incipit così fatalmente attraente è partita la mia corsa verso la fine già largamente anticipata dalla trama e dalla follia della storia. Qualcosa sembrava dirmi che non ci sarebbe stata nessuna fine da " e vissero felici e contenti " perché non ci sono che finali folli per storie folli. Questa poi è solo la parvenza di un romanzo, almeno per me, sembra più come quelle opere fuori dal tempo e dallo spazio, troppo aldilà di ogni singola condizione umana per essere un semplice romanzo. È più un'opera destinata a durare per sempre, una specie di manifesto della degenerazione umana in funzione di un'organizzazione sociale, sempre più sistematica e sempre meno individualistica, che col passare del tempo non può che portare all'annullamento di ogni impulso naturale. L'individuo è solo una pedina in un gioco con un solo giocatore, una delle tante cifre di un numero enorme. Potrebbe non esistere per quanto è inutile ma deve esistere perché è parte del gioco, un gioco in cui il ruolo massimo a cui l'individuo può aspirare è quello di rappresentare un problema, un fastidioso inconveniente da eliminare. E quanto può farci male tutto questo non c'è bisogno neanche di dirlo, alla fine non può restare niente di umano e come potrebbe se risulta sempre più difficile fidarsi dei propri pensieri e sempre più facile credere al sistema.

LA GUERRA È PACE

LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ
L'IGNORANZA È FORZA



Parola dopo parola ci sembra di essere Winston Smith, di vivere quello che lui vive, o forse di rivivere un sogno, come se quello che leggiamo l'avessimo già visto da qualche parte, perché non è altro che lo spettro della nostra esistenza. Winston è il nostro alter ego in versione futuristica, e non potremmo mai condannarlo per la sua folle scelta alla fine del libro, il rifiuto della sua mente a compiere un ultimo atto di resistenza. E lo capiamo, lo capiamo benissimo.

1984 è da leggere e poi rileggere e ririleggere. Superconsigliatissimo.

mercoledì 17 settembre 2014

Cent'anni di solitudine - Gabriel Garcia Marquez


Non posso credere di aver finito di leggere questo libro apparentemente sottile (rispetto a certi mattoni) ma che in realtà è ben più corposo di quanto si possa immaginare nelle sue quasi quattrocento pagine che richiedono infinite attenzione e pazienza. C'ho messo davvero tanto per leggerlo, quasi più tempo di quello che c'è voluto ai Buendia per andare incontro al loro destino, e molte volte sono stata sul punto di rinunciare, colta dalla tentazione irresistibile di dedicarmi ad altro.
Ma tante cose bellissime sono state dette su questo romanzo, che è un capolavoro, che rientra tra i cento libri più importanti di questo mondo. Se si è amanti della letteratura questi libri vanno letti prima o poi, è una verità sottintesa. Così ho fatto un piccolo sforzo per arrivare a leggere quell'ultima pagina perché stava diventando una sfida con me stessa. Non volevo assolutamente fare parte di quelli che hanno lasciato questo libro a metà, non perché non capisca che è la cosa più naturale da fare, ma semplicemente perché volevo avere la forza di capirlo, di trarne un significato da portare con me per sempre.
Una cosa è certa. Non ci sono giudizi così semplici per libri così. Non si può leggere Cent'anni di solitudine senza rimanere incatenati in qualche modo alla storia e incantati dalla scrittura.

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case d'argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.

Da questo incipit si rimane stregati. Sono rimasta stregata anche io e dopo le prime pagine ero entusiasta e non vedevo l'ora che succedesse qualcosa di speciale perché ero sicura che qualcosa dovesse succedere. Con un inizio del genere il resto del libro doveva essere spettacolare.
Poi però mi sono persa, un po' dopo la prima generazione di Buendia. Era l'inevitabile conseguenza di una storia che si ripete sempre uguale a ogni capitolo, che butta nel tritacarne della vita personaggi così simili tra loro che è impossibile distinguerli, visto anche che si chiamano tutti con lo stesso nome. Evidentemente il mondo era così recente che non avevano pensato ad altri nomi propri. Aureliano, José Arcadio, Aureliano José, Amaranta, Rebeca, Ursula, Remedios, Aureliano Secondo, Aureliano Triste, Amaranta Ursula, e via dicendo, sono destinati a ripetere anche nel nome il destino dei loro progenitori.

E la storia non è che la follia collettiva di tutti questi personaggi che non sanno per la maggior parte di chi siano figli, nipoti, zii, cugini ecc e inevitabilmente sviluppano reciproche passioni incestuose che però non si fanno mai realtà ma soltanto anticipazione di un destino più lontano ma comunque ineludibile, scritto nelle carte di Melquiades, e in cui alla fine prenderà forma la paura più grande della prima progenitrice Ursula, e cioè che nasca un discendente con la coda di maiale.
Insomma intricato ma originale.

Comunque adesso posso confessarlo che ho resistito fino all'ultimo soltanto per la scrittura che è veramente la cosa più meravigliosa e magica che abbia avuto mai il piacere di leggere.
È per questo che Cent'anni di solitudine rimarrà sempre un'esperienza profonda e unica.
Alcuni passi:

Erano le ultime cose che rimanevano di un passato il cui annichilamento non si consumava, perché continuava ad annichilarsi indefinitamente, consumandosi dentro di sé stesso, terminandosi in ogni minuto ma senza terminare di terminarsi mai”.


La necessità di sentirsi triste si andava trasformando in lei in un vizio a mano a mano che la devastavano gli anni. Si umanizzò nella solitudine”.

"Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell'istante in cui Aureliano Babilonia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra."

martedì 16 settembre 2014

La verità sul caso Harry Quebert - Joël Dicker

Non vorrei proprio cominciare il mio primo post con questo libro ma è l'ultimo che ho letto e prima che sparisca dalla mia mente mi sento in dovere di dire qualcosa su questo romanzo assurdo e davvero mal scritto.
Dunque visto che ho già detto che è assurdo e davvero mal scritto, che è l'opinione complessiva che me ne sono fatta, non resta molto da dire se non che questo libro è proprio l'esempio di come una pubblicità smisurata riesca a offuscare il giudizio di un intero popolo di lettori e di come anche una bellissima copertina e una bella edizione siano riuscite a ottundere il mio.
L'idea di un libro meraviglioso serpeggia da un lettore all'altro e con movimenti lenti e la promessa di sette centinaia di pagine piene di colpi di scena ci ipnotizza tantissimo.
Ma la domanda è: è possibile che una tale stregoneria dai piani alti riesca a discendere verso di noi, poveri e ignari lettori? Chi diavolo è che permette la pubblicazione di un romanzo che sembra non essere stato revisionato un numero sufficiente di volte da impedire certi strafalcioni narrativi? Un vero peccato perché ripulita dalla prosa infantile e dai dialoghi sempliciotti la storia di base sarebbe di per sé bellissima, con la giusta dose di intrigo e rimescolamento delle carte per cui arrivi alla fine rendendoti conto che non avevi capito una mazza dall'inizio.

L'inizio. Dov'è l'inizio? Se volessi riportare l'incipit di questo roman, dovrei scrivere pag. 7, pag. 11 o pag. 17?

Estratto da pag. 17.
All'inizio del 2008, all'incirca un anno e mezzo dopo essere diventato, grazie al mio primo romanzo, il nuovo beniamino delle lettere americane, fui colpito da un terribile blocco dello scrittore, una sindrome che sembra piuttosto diffusa tra gli autori baciati da un successo istantaneo e clamoroso.

Eccola qui, neanche tanto nascosta tra le prime righe, la ragione di tutto. Il motivo che spinge Marcus Goldman, il protagonista, (oppure il protagonista è Harry Quebert, oppure è il libro scritto da Harry Quebert oppure quello meraviglioso che alla fine Marcus riesce a scrivere sulla storia di Quebert che ha scritto un libro meraviglioso), insomma il motivo che spinge Marcus Goldman, dicevo, a chiamare il suo unico e vero amico, Harry Quebert, il suo ex professore al college, per dirgli che non riesce più a scrivere nulla. Ed Harry gli propone, ma guarda, di andarlo a trovare ad Aurora, per ritrovare l'ispirazione. E Marcus ci va, giusto pochi mesi prima dei "tragici fatti che mi accingo a raccontare in queste pagine". Brr, che brividi.

Sì perché ad Aurora 33 anni prima del momento in cui si svolgono i fatti (era necessario andare così lontano) una ragazzina di nome Lola era scomparsa nel nulla.
2008: il cadavere di Nola viene ritrovato nel giardino di Harry Quebert perché a un certo punto della sua vita il signor Quebert deve per forza piantare delle ortensie proprio nel punto in cui è stata seppellita Nola.
Altri dettagli agghiaccianti preferisco tralasciarli.
Così Marcus decide di indagare, per scagionare Harry che chiaramente è stato accusato visto che aveva un cadavere in giardino, gironzolando a piede libero nella cittadina, ignaro della doppia faccia dei suoi abitanti, mentre qualcuno semina sul suo cammino messaggi minatori e mentre continua a essere chiamato "signor scrittore" da praticamente tutti. Io avrei già abbandonato Aurora e tutto. Ma chiamarlo Marcus no?

Ogni tanto rispuntano le lettere che Harry e Nola si scrivevano (ah giusto perché Harry cinquantenne e Nola quindicenne si erano innamorati perdutamente l'uno dell'altra) di una banalità amorosa indicibile che Romeo e Giulietta ne verrebbero eclissati.
Mio tesoro,
tu non devi mai morire. Sei un angelo, e gli angeli non muoiono mai.
Come vedi, ti sono sempre vicino. Ti prego, asciugati le lacrime. Non sopporto di vederti triste. Ti bacio, sperando di mitigare la tua pena.

Bla, bla, bla. Sogno di ballare con te.

Mio angelo meraviglioso,
Un giorno tu e io balleremo. Bla bla. E balleremo, balleremo sulla spiaggia.

Amore caro, ballare sulla spiaggia: non penso ad altro. Dimmi che un giorno mi porterai a ballare sulla spiaggia, tu e io. 

Vabbé insomma questi vogliono ballare. Organizziamo loro un ballo porca miseria.

Per non parlare dei consigli utilissimi ma davvero davvero utili che Harry dà a Marcus per scrivere un buon libro e che effigiano l'inizio di ogni capitolo, la cui numerazione procede al contrario.
Qualche esempio:
16.
Le origini del male.
 Harry, quanto tempo ci vuole per scrivere un libro?
Dipende.
Da cosa?
Da tutto.

Mh, utile, non c'è che dire.

25.
A proposito di Nola.
Insomma Harry come si diventa uno scrittore?
Non dandosi mai per vinti. Sai Marcus la libertà l'aspirazione alla libertà è una guerra in sè. Noi viviamo in una società di impiegatucci rassegnati (ma come ti permetti? non possiamo essere tutti scrittori ricchi sfondati come te, ma tu vedi questo) e bla bla bla.

21.
Della difficoltà dell'amore.
Marcus, sai qual è l'unico modo per misurare quanto ami una persona?
No.
Perderla.

Ma davvero?! Mi sembra di averlo già sentito da qualche parte.
Insomma di cose ne ho già dette troppe anche perché nonostante tutto ognuno è libero di comprare questo libro e di scoprire da sé il colpevole, anche se l'unica cosa che posso dire è che tutti sospetterebbero del povero Luther Caleb, un povero cristo brutto come l'ebola, che ha la sfortuna di essere buono in un mondo di cattivi, pur sembrando cattivo in un mondo di persone che sembrano buone. Insomma tutto è il contrario di tutto in un giallo pieno di consigli per scrittori ma in cui l'unica cosa da consigliare sarebbe quella di non scrivere un libro come questo.

Ah, l'unica cosa che mi è piaciuta è la numerazione dei capitoli. Magari anche il fatto che fino alla fine non sono riuscita a scoprire chi cavolo fosse l'assassino, quindi almeno la sua funzione di giallo l'ha compiuta. Rimane pur sempre un libro leggero da leggere, in queste sere di settembre. Pare che lui stesso fosse cosciente di non star scrivendo un capolavoro.

Avete presente Homeland, la serie tv? Vedi una puntata, poi un’altra, poi cominci a fare delle stupidaggini tipo vederne quattro di fila di notte così il giorno dopo non riesci a lavorare… La mia ambizione era ottenere lo stesso risultato con un libro».